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di Umberto Minopoli

 

Perché votare Giachetti-Ascani: appello ai delusi del Pd attuale.

 

Consideravo il congresso del Pd, per i tempi in cui si fa (tardi e a ridosso di elezioni decisive) e per i contenuti su cui è nato (l’autocritica sul passato, sui governi del Pd, sulla liquidazione della novità e delle speranze del 2013, del nuovo corso Di Renzi), dannoso e inutile.

Renzi ha fatto le sue scelte. Il problema non è la sua persona. Il problema è il destino del disegno di nuovo Pd, di nuovo centrosinistra, di nuovo riformismo modernizzatore, per lo sviluppo, espansivo e ottimista sulla crescita che la sua leadership aveva avviato dal 2013.

 

La voglia di liquidare il nuovo corso del 2013

Nel congresso del Pd si profilava un confronto tra correnti e aspiranti leader “tutti” concordi però nella volontà di liquidare il nuovo corso del 2013. E di tornare alla precedente idea di Pd e di centrosinistra. Cancellando la novità del renzismo e del riformismo dei governi del Pd dal 2013. Proprio ora che gli esiti vergognosi del governo gialloverde fanno emergere la diversità positiva di quei governi e fanno emergere la portata di ciò che l’Italia ha perso nel confronto tra i governi del Pd e la realtà di oggi.

Non si trattava tanto di difendere la persona di Renzi. O di contrastare le sue scelte personali di Renzi. Non è la figura di Renzi il problema. Renzi dà un validissimo contributo all’opposizione al populismo anche da senatore. Il problema è che il congresso si proponeva la liquidazione del renzismo e non solo di Renzi. E il renzismo non è eredità di una persona. È il corso politico, programmatico, di valori, idee, progetti, riforme che ha animato una stagione politica nuova, esaltante e piena di speranze. Suggellata dal voto di due milioni di persone alle ultime primarie del Pd e dal 40% dei voti al referendum del Si del 2016.

 

Il rischio di un ruolo gregario

Lo spappolamento di una parte dei protagonisti del nuovo corso di Renzi, che avrebbero dovuto impegnarsi a difendere attivamente il nuovo corso del 2013, in una funzione gregaria e arrendevole, sciogliendosi nelle correnti di Zingaretti e Martina aveva contribuito a fare di questo congresso una cosa preoccupante, inutile, dannosa ai fini dell’immagine del Pd da affermare oggi.

Che non può essere più quella dell’autocritica sul riformismo di Renzi e dei governi Pd, del ritorno al Pd prerenziano, al suo minoritarismo, all’idea superata del vecchio centrosinistra in versione ulivista, alla fine della vocazione maggioritaria, all’avvento di una sciagurata idea di bipolarismo tra destra (leghista) e una sinistra populista fondata su un’alleanza con i 5 Stelle. Zingaretti in modo esplicito e dichiarato e Martina in modo più confuso e reticente esprimono tutto questo. Che è la fine del progetto riformista del Pd. Per questo il congresso mi è apparso dannoso.

 

Qualcosa è cambiato

Per fortuna qualcosa è cambiato in questi ultimi due mesi. Tre cose sono cambiate:

1) lo sgretolamento di ogni idea, illusione e velleità di alleanza con i 5 Stelle. Sono non solo succubi di Salvini ma parte attiva del disastro. L’idea di alleanza con loro è un ferrovecchio inutilizzabile e impresentabile.

2) la nascita di un’opposizione ai populisti di tipo civile, spontanea, indipendente dai partiti, sociale (dalla Tav ai temi dell’economia). Questa realtà ha scosso la sonnecchiosa classe dirigente del Pd. La costringe ad abbandonare la cupa introversione di un congresso che si proponeva solo autocritica e liquidazione dell’eredita’ dei governo Pd e del corso di Renzi. La crisi politica dei gialloverdi costringe il Pd a tornare alla politica. E ad abbandonare introversione, cupio dissolvi sul passato recente e sconti ai grillini. E a rovesciare, finalmente, il “teorema D’Alema”, che ha ispirato in questi 8 mesi lo stesso Pd. Quello secondo cui “a questo governo può seguire solo uno peggiore e più a destra”. Quindi: “meglio tenerselo, in attesa di una rottura e di un’alleanza tra sinistra e 5 Stelle”. Questa idea si è rivelata farlocca. La crisi politica dei gialloverdi è possibile. E non esiste alcuna possibilità che i 5 Stelle, che sono la malattia, possano diventare la cura. Il Pd non può subordinare la sua funzione alla idea balorda del “teorema D’Alema”, all’aspettativa dell’incontro con i 5 Stelle. Deve ritrovare autonomia e protagonismo.

3) la novità e la sorpresa: la mozione Giachetti-Ascani. Temevo fosse di eroica testimonianza e resistenza. Invece è molto di più. Si va affermando come il polo riconosciuto e con consenso per impedire la restaurazione e il ritorno del vecchio Pd. Giachetti-Ascani sono nelle condizioni di forza per battere il patto restauratore delle correnti e del caminetto doroteo che oggi guida il Pd.

 

Contro la restaurazione

La sconfitta della restaurazione è possibile. Per le tre ragioni che ho detto. Quindi, lo dico ai delusi del Pd degli ultimi due anni, e a chi non ha accettato il trattamento riservato, dai dirigenti del Pd a Matteo Renzi e ai governi del Pd, riprendiamo il posto nella battaglia interna.

I restauratori possono essere battuti e il Pd può tornare alla sua naturale funzione riformista e modernizzatrice. Se, come e’ possibile, la mozione Giachetti-Ascani potra’ rivelarsi determinante. E sconvolgere i piani del patto restauratore tra Martina e Zingaretti. Vale la pena impegnarsi. Al lavoro e alla lotta.

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