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di Elisabetta Corasaniti

 

Minniti ci ha deluso.
Sembra quasi che un’eventuale rinascita del PD dipenda dalle alchimie e dall’esito delle lotte interne che si consumeranno nei prossimi giorni.

La domanda da porsi è: qual è il posto del progetto riformista all’interno del PD? Ovvero, c’è un posto per il progetto riformista nel PD?
Non c’entra Renzi: ‘’gli uomini passano, le idee restano’’.
C’è un leader che ha l’ambizione e la voglia di ripensare interamente al progetto riformista ed europeista? Il riformismo non è una sigla o un simbolo elettorale: è un’idea, che nasce dalla ricostruzione di un’alleanza tra merito e bisogni. E’ l’idea che ci differenzia profondamente dal populismo, dal semplicismo imperante, dal dilettantismo improvvisato di attori politici nulli nel pensiero. 
E’ un’idea ‘’beyond’’: né di destra, né di sinistra.

Ora, se la risposta a queste domande c’è, se un leader riformista c’è, si faccia avanti ed abbia il coraggio e l’ambizione di portare avanti quelle riforme che vogliono tutti a patto che non si facciano.

Lo spazio c’è.
Il tempo invece, è finito.

 

La necessità delle riforme: un’idea ”beyond”

L’Italia non ha mai conosciuto, in 70 anni di storia repubblicana, un ciclo riformista degno di questo nome.
Eppure, non si può negare che Renzi prima e Gentiloni poi abbiano intrapreso un percorso importante di riforme: uno scossone tanto forte quanto necessario a scrostare conservatorismi apparsi storicamente inattaccabili.
Gli interventi come il Jobs Act e la Buona Scuola hanno preso atto dei cambiamenti intervenuti nell’economia e nella società, e hanno cercato di rimodulare le garanzie per i lavoratori sulla base di questi cambiamenti. Riforme che hanno subito l’ostracismo di una parte del PD ancorata alla rappresentanza sindacale e ancora traumatizzata dalla fine del comunismo. Una sinistra troppo preoccupata della ridistribuzione (e delle politiche fiscali e di spesa) e non della creazione di ricchezza; troppo disposta a concedere diritti ma non a chiedere responsabilità.

E per questo, forse, sono stati interventi timidi.

In ogni caso, era stato dato il via ad un tentativo riformista che era valso (a Renzi ndr) il consenso (40%) di quel blocco sociale che da anni attendeva un segnale forte e concreto di cambiamento di una politica che, anche nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, aveva mantenuto quel retrogusto di stantio.

Il dente duole, ovviamente, sulla sconfitta più penosa e dolorosa: la riforma costituzionale: il superamento del bicameralismo paritario insieme alla vocazione maggioritaria resta la più importante scommessa per la tenuta democratica del Paese.

Le forze progressiste devono reinventarsi radicalmente e andare oltre la vecchia dicotomia sinistra / destra: la vecchia politica di sinistra, basata sulla coscienza di classe e sulla lotta di classe, è crollata con il muro di Berlino; non esiste alcuna speranza di una rivitalizzazione del movimento socialista.

Esiste un tentativo di fornire un punto di partenza per lo sviluppo di una nuova prospettiva? Quell’ ‘oltre destra e sinistra’ è un grido che emerge da ogni individuo pensante che non può accontentarsi di provare a sopravvivere a questa egemonia nazionalpopulista.

Questo ci porta alla domanda su cosa significa “oltre” e sulla natura della relazione tra le varie ideologie.
“Oltre” significa più avanti rispetto alla vecchia sinistra e alla nuova destra, ossia, rispetto al populismo a 5stelle, al populismo di sinistra e alla lega di Salvini.

 

Un progetto ambizioso che reinventa il centro politico

Il posto che il riformismo europeista deve occupare non è una via di mezzo tra gli estremi opposti. La nostra posizione non è un compromesso tra due ideologie screditate. È una posizione su un nuovo terreno comune, che reinventa il centro politico, che va oltre i sistemi ideologici chiusi di sinistra e di destra e li combina entrambi.
E’ un progetto politico ambizioso ma più pragmatico: far funzionare questo sistema richiederà coraggio ed è una grande sfida in un mondo in cui i populisti ingannano gli elettori con argomentazioni qualunquiste.

È facile respingere questa visione come troppo idealista o impossibile da realizzare. È ancora più facile liquidare l’ascesa del populismo come un incidente della storia, e attendere il ritorno alla partitocrazia da prima repubblica.

Se c’è ancora qualcuno nel PD disposto ad investire nel futuro, si faccia avanti.
Fate presto.

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