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di Giovanni Cominelli

 

Dopo le elezioni europee torna il rischio paralisi. Riforma elettorale o riforma istituzionale?

 

Alla fine, dopo un anno di promesse millenaristiche del sedicente “governo del cambiamento” l’Italia si trova in recessione, il PIL tende a zero, il debito pubblico è in aumento. Esaurite ormai le risorse propagandistiche dell’”escatologia dell’imminente”, il principio di realtà torna a bussare dolorosamente alle porte degli Italiani. Potranno essere “distratti” ancora per un po’ da qualche barcone di troppo, ma non a lungo.

 

Illusioni facili e delusioni pericolose

Quali le conseguenze sul rapporto tra gli Italiani e la politica, cioè sulla legittimazione della democrazia? Se le illusioni dell’opinione pubblica sono pericolose, ancor di più lo sono le delusioni che ne conseguono. Se il M5S, con la sua ideologia antiliberale e la sua pratica totalitaria, è un sintomo/minaccia da prendere molto sul serio, la sua probabile deflagrazione finirà per alimentare una destra illiberale, una sinistra illiberale e un’area astensionista. In assenza di alternative visibili, l’astensionismo può far crescere lo spazio per la mobilitazione di minoranze estreme.

Perciò il periodo che si apre, dopo le elezioni europee, è quello di un aggravamento della crisi di legittimazione della democrazia. Lo spettacolo che presenta la politica in Italia è ormai quello di una stagnazione “secolare”, turbata da sussulti momentanei, ma monotonamente centrata sull’immediato presente elettorale. Chi governa deve confermare la propria posizione stabilmente fragile con una campagna elettorale perenne: d’altronde, incombe sempre qualche elezione amministrativa o regionale. La tattica è tutto, la visione nulla, i governi procedono per spot. Di qui volatilità, impotenza, fragilità della politica. Così è percepita, perché tale é.

 

L’opinione pubblica e l’opinione pubblicata

Pertanto, analisti, commentatori, editorialisti, politologi ogni giorno dedicano pagine e pagine all’esplorazione dei labirinti, allo studio delle mosse e delle contromosse, alle previsioni prevedibili, agli scenari “teatrali” e ai retroscenari.

Tutta questa mole di cronache ed elucubrazioni resta confinata principalmente tra addetti e aficionados, anche perché essa stessa è parte della rappresentazione teatrale e alimenta il gioco. Sembra informazione, ma è diseducazione al pensare pubblico.

Questo circo viene chiamato opinione pubblica, ma finisce per coincidere solo con l’opinione pubblicata. La massa dei cittadini si forma le opinioni in altro modo o, peggio, non se le fa proprio. La politica pare diventata un’attività inutile, quando non sospetta, tendenzialmente criminogena.

 

Dopo le elezioni europee

A questo punto torna una domanda urgente. Se, dopo le elezioni europee, il governo del cambiamento arriva alla paralisi, che si fa? Poiché il sistema elettorale, denominato Rosatellum, altro non è riuscito che a far combinare un’alleanza conflittuale tra due forze, che pure sono reciprocamente tutt’altro che spurie sul piano degli orientamenti di fondo, occorrerà di nuovo cambiare sistema elettorale.

Così, almeno, pare pensare Claudio Cerasa, direttore del Foglio, che invita a tornare ad un sistema che permetta ai cittadini di scegliere direttamente il governo.

Quasi a ruota, si sono dimostrati sensibili a tale “Grito di Dolores” alcuni opinionisti, tra cui Stefano Ceccanti, deputato PD ed esperto di questioni istituzionali e di sistemi elettorali, che ha ripreso sulla Rivista on line “Libertà Eguale”, emanazione dell’omonima Associazione di cultura politica, l’appello di Cerasa.

La speranza sottesa è che l’occasione sia propizia ad un pentimento degli elettori dell’errore clamoroso compiuto il 4 marzo 2018 e, magari, anche di quello del 4 dicembre 2016. Chissà che non tornino ad orientarsi verso una mentalità maggioritaria e diventino più sensibili ad una legge elettorale maggioritaria.

Credo che si tratti di un’illusione. Non solo perché tutti i partiti sembrano ormai preferire il sistema proporzionale invalso con il Rosatellum, ma soprattutto perché la massa degli elettori continua a intravedere nelle proposte di legge maggioritaria elaborate dai partiti solo un calcolo opportunistico di parte, mosso da bulimia di potere.

E’ stato, d’altronde, l’errore fatale di Renzi quello di far precedere l’approvazione di una nuova legge elettorale maggioritaria – l’Italicum – al referendum istituzionale del 4 dicembre 2016. I sondaggi di Nando Pagnoncelli avevano per tempo già rilevato che gli elettori interpellati si dichiaravano sì a favore delle riforme istituzionali, ma anticipavano contemporaneamente il No rispetto al quesito referendario.

 

Gli anni del bipolarismo

Elettori schizofrenici? Non proprio. Non si può dire che gli anni del bipolarismo, prodotti dal Mattarellum – sistema maggioritario al 75% – e poi dal Porcellum (absit injuria verbis!) – proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate – abbiano dato luogo ad alleanze compatte e a governi stabili e efficaci. Il primo governo Berlusconi è caduto dopo 7 mesi, il primo governo Prodi dopo due anni, il governo D’Alema dopo due anni. Dal 2001 al 2006 i cinque anni di governo Berlusconi sono stati paralizzati dall’alleanza spuria con Fini.

Dal 2006 l’instabilità è stata la norma. Gli elettori lo sanno. Il fatto è che non è vero che gli elettori potessero scegliere direttamente il governo. Votavano per un assetto bipolare della rappresentanza parlamentare, ma il governo continuavano a sceglierlo direttamente i partiti in Parlamento, nel quale il bipolarismo si è sempre dimostrato più fragile e instabile che nel Paese. Deputati e senatori, si sa, sono termometri molto sensibili dei mutamenti di opinione dei singoli e delle corporazioni e degli interessi, che i sondaggi periodicamente documentano.

 

Il tempo costituente

Ovviamente, di tutto ciò i fautori del ritorno al sistema elettorale maggioritario sono consapevoli. Ma sanno anche che un sistema elettorale maggioritario non garantisce la governabilità neppure nel modello Westminster in Gran Bretagna e tampoco in Germania, se, alla fine, la parola decisiva sul governo resta ai partiti. Allora, conviene forse partire dalle fondamenta, invece che dal tetto. Le fondamenta sono le istituzioni, il tetto la legge elettorale. Le istituzioni sono di tutti i cittadini, le leggi elettorali sono proposte dai partiti, secondo interessi contingenti di parte.

Perché allora non partire da una campagna di informazione, educazione, riflessione, proposte relative allo stato delle istituzioni del Paese? E’ sotto gli occhi di tutti che le istituzioni della Repubblica e dello Stato amministrativo sono arrugginite, malate, inefficienti, a partire dall’istituzione-governo. Sono unfit. Esse sono nate sono un altro cielo, ancora illuminato dai bagliori della Seconda guerra mondiale, prima calda e poi fredda.

Se esiste un tempo costituente, è quello che stiamo vivendo.

L’obiezione più comune è che sì, i partiti dovrebbero farsi carico di questa “occasione”, ma storicamente solo guerre, rivoluzioni, minacce mortali possono spingerli ad assumersi “responsabilità costituenti”.

Mi chiedo se non siano abbastanza cogenti le minacce mortali che arrivano dal disordine mondiale presente perché non si possa avviare un “grand débat” tra i cittadini. Che forse potrebbero essere più interessati di quanto appaia ai partiti al sistema maggioritario, se avessero la percezione di poter effettivamente scegliere il governo. E forse si scoprirebbe che sono i partiti a non voler riconoscere per davvero questo nuovo potere ai cittadini. Partiti disposti a cambiare legge elettorale, ma non le istituzioni del Paese.

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