LibertàEguale

Digita parola chiave

Condividi

di Enrico Morando

 

Per il PD, la collaborazione di governo col Movimento 5 Stelle è frutto di uno stato di necessità o di una scelta strategica? A questa domanda, nel PD, si danno due risposte, tra di loro molto diverse, se non opposte.

 

L’alleanza con il M5s è l’unità della sinistra?

1- C’è chi – specie nella maggioranza che ha eletto Zingaretti – pensa all’alleanza PD- M5S come nuova versione della antica idea della unità della sinistra. Il populismo di sinistra – tutto ciò che non va è colpa del liberismo e delle regole europee; la spesa pubblica in deficit a fini redistributivi può farci tornare a crescere; lo Stato imprenditore è la vera fonte dell’innovazione e dello sviluppo – è la cultura politica in larga misura comune, capace di rendere tollerabile un rapporto di forza-all’interno della coalizione- nettamente squilibrato a favore del M5S.

Che questa posizione sia anche quella di numerosi dirigenti del PD di origine democristiana – che con l’idea dell’unità della sinistra hanno avuto poco a che spartire – può stupire soltanto quelli che hanno preso e continuano a prendere per buona la storiella dell'”amalgama non riuscito” tra ex democristiani ed ex comunisti come fonte delle difficoltà del PD: da molto tempo, infatti, la dialettica interna a questo partito prescinde totalmente dalle antiche radici dei suoi dirigenti nei partiti pre-’89.

Questa posizione politico-culturale si è venuta rafforzando dopo la pesante sconfitta subita dalla leadership riformista del PD, prima nel referendum costituzionale, poi alle Politiche del 2018: del resto, in tutti i partiti di centrosinistra a vocazione maggioritaria dell’Occidente il “pendolo” interno si è nettamente spostato verso posizioni più lontane da quelle della sinistra liberale. Le sconfitte tendono a far pensare a molti che esse nascano da eccesso di innovazione, non dalla sua insufficienza.

 

Per i riformisti nel Pd l’accordo con il M5s nasce da un’emergenza

2- Sia pure indebolite dalle sconfitte, sono componenti vitali e ben radicate nel PD anche quelle che – prima col Veltroni del Lingotto e poi col Renzi dei Governi di centrosinistra della scorsa legislatura – hanno fatto nascere e crescere il PD come partito riformista a vocazione maggioritaria. Nato per superare la tabe storica del riformismo italiano (presente in partiti diversi ed avversari, ovunque in minoranza), e vocato – per visione, programmi e qualità della leadership individuale e collettiva -, ad interpretare le domande e le aspirazioni della maggioranza dei cittadini. Non nel senso della sua autosufficienza, ma in quello della capacità di assumere “naturalmente” la guida della eventuale coalizione di cui faccia parte. Per questo dotato di regole di vita interna in grado di garantire la piena contendibilità di una leadership che è al tempo stesso del partito e del Paese. Come è pacificamente per tutti i partiti europei a vocazione maggioritaria.

Per questa seconda componente del PD, la collaborazione di governo con il M5S nasce da una emergenza: fermare – coi mezzi previsti dalla Costituzione – la marcia di Salvini verso la fuoriuscita dall’Euro, il mutamento della collocazione internazionale dell’Italia, la rottura dei fondamentali equilibri della democrazia liberale.

 

Schieramento europeista e centralità del parlamento: basi dell’intesa

La scelta del M5S di collocarsi, in Europa, nello schieramento europeista (elezione di Ursula von der Leyen) e quella di Conte (di fatto, il neo leader del Movimento) di riaffermare la centralità del Parlamento nella gestione della crisi hanno creato le condizioni per l’intesa. Su questi due cruciali terreni, infatti, la svolta dei grillini è stata reale e sarebbe stato un grave errore sottovalutarne la portata. Specie in presenza della iniziativa destabilizzante di Salvini. Giusto dunque approfittare dell’errore di quest’ultimo e dare vita al nuovo Governo.

Le enormi distanze di cultura politica e di programma – rese evidenti dalla povertà sia del documento programmatico, sia del discorso del nuovo-vecchio Presidente del Consiglio – restano a testimoniare del carattere straordinario della soluzione adottata. Figlia di un rapporto di forza parlamentare troppo squilibrato a favore del M5S per risultare anche solo parzialmente compensato dal risultato delle elezioni europee: ad avvantaggiarsi del crollo dei grillini non è stato infatti il PD, ma la Lega di Salvini.

 

Il partito riformista a vocazione maggioritaria oggi è ancora troppo debole

Se non siamo riusciti ad ottenere che- trangugiando la permanenza del Ministro della giustizia del Governo precedente- si impegnasse almeno l’intera coalizione a cancellare l’obbrobrio della “prescrizione mai”… Se l’impegnativa esigenza di cancellare gli aumenti dell’Iva non è stata sufficiente ad imporre un ritorno all’indietro su una norma nemica dell’equità e dell’occupazione come Quota 100… è perché il partito riformista a vocazione maggioritaria ė oggi troppo debole e confuso per farsi valere.

Superare debolezza e confusione attuali è il compito del riformismo più coerente impegnato nel PD. Non lo si fa con le prediche, né con le recriminazioni su ciò che poteva essere e non è stato. Lo si fa rinvigorendo la battaglia politica. I due esempi prima richiamati basteranno, in questa sede, per dare conto della esigenza che nel PD si rafforzi la componente che – perseguendo il cambiamento del Paese secondo i principi e gli obiettivi della sinistra liberale – considera la presenza di un grande partito riformista a vocazione maggioritaria come una delle condizioni fondamentali del successo.

Impossibile, per questa parte del PD, tornare a vincere, nel partito e nel Paese? Ricordo chi, dopo le dimissioni di Veltroni e la netta affermazione di Bersani, formulava la stessa, catastrofica (per noi) previsione. Non abbiamo dovuto aspettare molto per vedere una leadership più giovane e pugnace far proprie le solide elaborazioni dei riformisti più coerenti del PD e portarle ad affermarsi in una esaltante competizione democratica. Ecco perché considero la scelta della scissione di Renzi “peggio di un crimine: un errore politico”.

Tags:

1 Commenti

  1. Giacinto mercoledì 18 Settembre 2019

    Bravo Enrico un errore politico l’uscita di Renzi.ciao

    Rispondi

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *